Paolo Giacobbe - Presidenza“La lezione più importante sulla legalità l’ho ricevuta non in un’aula universitaria, né ad un congresso; non da un professore o da una persona delle istituzioni. E’ durata pochi secondi, in una stanza della Sezione “Vincenzo Pes” del PCI di Vado Ligure, durante una conversazione informale negli anni 70. L’ho avuta da Piero Pallaro, operaio e dirigente per la FIOM del Consiglio di Fabbrica del TIBB, oggi Bombardier, pochi mesi prima della sua prematura scomparsa. Ad un compagno, il quale sosteneva che poiché la causa dei lavoratori ( e con loro quella del sindacato e del partito) era quella giusta, che però era ostacolata dal potere costituito, per cui era giustificato ricorrere a qualche “mastrusso”, comunque a fin di bene, rispose semplicemente “Cumpagnu, ricordite che niotri semmu pe u Stato de dirittu”. Piero era cresciuto in fabbrica e a Vado con maestri che avevano saputo affrontare, dirigere e vincere la lotta armata, che avevano saputo quando prendere in mano le armi e saputo quando deporle. Con il loro contributo e di suo aveva capito come difendere la democrazia e come cercare di vincere le battaglie in democrazia.” – Carlo Giacobbe

Per quanto, dal punto di vista teorico, la resistenza armata a un regime dittatoriale e la disobbedienza civile siano due concetti differenti, la riflessione di mio padre, Carlo Giacobbe, e di moltissime persone appartenenti al mondo della sinistra italiana sull’opportunità di trasgredire a leggi ritenute ingiuste partiva da lì. Partiva dalla storia di una generazione che, dopo vent’anni di opposizione clandestina e due anni di lotta armata, ha deciso, non senza contraddizioni, ma con convinzione, di ideare e fondare prima, e di sostenere e difendere poi, lo Stato di Diritto per come lo conosciamo noi in Italia.

E per Carlo tutto ciò significava qualcosa di concreto, di tangibile, di personale. Non gli sono di certo mancati letture e momenti di approfondimento teorico sul tema, ma, come lui stesso scrive, la sua riflessione partiva da un episodio concreto, da insegnamenti di persone che aveva incontrato in carne e ossa.

E questi insegnamenti lo portavano ad una profonda diffidenza verso tutte quelle soluzioni di battaglia politica che presupponessero la violazione di leggi dello Stato (quando fondato su regole e principi democratici), a un tentativo di cambiare le leggi ingiuste attraverso la battaglia nella società e nelle istituzioni.

Eppure, due elementi, probabilmente, lo inducevano, a tornare, ripetutamente, a ragionare sul tema.

Il primo è una lettura attenta della Storia. Molti sono gli episodi in cui un gesto di disobbedienza verso leggi ingiuste ha portato a cambiamenti reali. Si pensi a Rosa Parks e al suo gesto di non alzarsi in piedi per cedere il suo posto a una persona bianca sull’autobus. Si potrebbe replicare che quasi mai i gesti di disobbedienza hanno portato a risultati tangibili senza una concomitante battaglia politica, sociale e istituzionale, ma è difficile negare l’importanza che hanno avuto in alcuni snodi cruciali della storia.

Il secondo è un’attenzione profonda alle persone. Quell’attenzione che, unita a quel rispetto profondo per lo stato di diritto di cui ho scritto poco sopra, non può che portare a riflessioni importanti, mai conclusive, su quanto principi inalienabili di dignità della persona e diritti umani fondamentali possano e debbano prevalere rispetto alle leggi fondamentali di uno Stato quando queste entrassero in conflitto. Leggi fondamentali che, tra l’altro, in uno stato Costituzionale come il nostro, si propongono di difendere anch’esse i diritti fondamentali della persona, non lasciandoli all’arbitrio del singolo, ma proteggendoli con le regole della democrazia.

È da qui, da queste esperienze, da queste convinzioni, che partiva il pensiero di Carlo Giacobbe sulla disobbedienza civile.