La Traccia
Perché lavoriamo? E soprattutto, cosa cerchiamo nel lavoro? Solo lo stipendio alla fine del mese o c’è qualcos’altro? E che cosa fa di un lavoro un “buon lavoro”? Come accostarsi, quindi, all’attività che occupa (o occuperà chi ancora è studente) un terzo delle nostre giornate?
A queste domande sono state date risposte differenti in diversi periodi storici. Eventi mondiali, cambiamenti sociali, economici e politici si riflettono nei diversi valori e approcci al mondo del lavoro propri di ciascuna generazione.
I Baby boomers, ossia le persone nate tra il 1946 e il 1964, hanno vissuto in un periodo di forte crescita economica e hanno beneficiato di opportunità lavorative precluse ai loro genitori. Questo li ha portati ad avere una forte etica del lavoro, attribuendovi un senso alto. Carlo Giacobbe, nato nel 1957, riteneva che il lavoro non fosse “un’esperienza individuale e neppure circoscritta ad un dato meccanico, è storia collettiva di formazione civile e crescita personale”.
Quando la generazione successiva si è affacciata sul mercato del lavoro il mondo era cambiato. La Guerra Fredda era finita e la globalizzazione stava vivendo un forte sviluppo. Anche il lavoro stava cambiando: più precario, con minori possibilità di crescita e con l’aumento dei lavoratori autonomi. A questi cambiamenti, la cosiddetta Gen X (i nati fra il 1965 e il 1980) ha risposto con una maggiore disillusione e attribuendo maggiore importanza a retribuzione e possibilità di carriera.
I Millenials (i nati tra il 1980 e il 1996) sono i primi ad aver conosciuto la trasformazione digitale durante l’infanzia o l’adolescenza e all’inizio della loro carriera hanno dovuto affrontare le conseguenze della Grande Recessione, livelli più elevati di disoccupazione e maggiori incertezze, che hanno comportato una loro minore “fedeltà” nei confronti delle imprese o delle organizzazioni nelle quali si trovano a lavorare.
Negli ultimi anni ci si sta iniziando a chiedere, dunque, come queste differenze di approccio di persone di età diverse possano trasformare il mondo del lavoro, quali siano le principali difficoltà nel dialogo intergenerazionale e quali benefici, invece, potranno derivarne.
La più giovane generazione di lavoratrici e lavoratori, la Gen Z (ossia quella dei nati tra il 1997 e il 2012), ha iniziato ad affacciarsi al lavoro nel pieno della pandemia da Covid-19 o subito dopo. Ancora una volta, il mondo è cambiato.
Come tutto ciò potrebbe avere effetto sul modo di vedere il lavoro tuo e della tua generazione? Quali sono le sfide che la tua generazione si troverà ad affrontare nei prossimi anni? Quanto ritieni che incideranno nelle valutazioni sulle scelte lavorative che dovrai porre in essere valori quali la sostenibilità, l’inclusione e la possibilità di esprimere il proprio ingegno?